Ho trovato, in fondo all’armadio, un cioccolatino industriale.
Appartiene alla mia vecchia vita, ora mangio solo cioccolato prodotto da piante italiane registrate all’anagrafe e stagionato per anni nelle culle delle cliniche pediatriche, in Svizzera.
Cosa devo farne?
Quale potrebbe essere la cosa migliore da fare?
Divorarlo e annegare nei sensi di colpa oppure raccoglierlo e riporlo tra i rifiuti non riciclabili, chiamare quelli che ritirano i rifiuti pericolosi, in modo che la sua materia organica temibile non contamini l’humus del mio orto?
Un’altra possibilità è quella che poi è la nostra missione, quella che spetta a noi, guerrieri della luce, nati in questa epoca post-industriale: buttare il cioccolatino chimico nella pattumiera lanciandogli contro mille maledizioni.
Mi avvicino quindi allo scaffale dell’armadio e allungo la mano verso il disgraziato fagottino avvolto nel malefico cellophane colorato.
Più mi avvicino e più salivo come un mastino napoletano di undici anni.
Cerco di darmi un tono.
Cerco di nascondere al mio ideale, la bocca piena di bava e lo stomaco che urla desideri immondi.
Piglio il cioccolatino, spingo col piede sul pedale del secchione e mi scaravento nella trachea il demoniaco, squisitissimo snack.
Non respiro per qualche minuto, ho un Nirvana.
Poi torno in me, mi sistemo, mi lavo i denti, esco di casa guardinga, controllo che nessuno mi abbia vista e scivolo fuori dal pianerottolo verso il mercato contadino.
morto.però,verissimo il tutto (soprattutto se rapportato ai famigerati “Boeri” !!)
A fine lettura, anch’io ho il livello di salivazione a 1000! 😀
Occorre dare a volte un colpo ben assestato al nostro ideale svaccato su un’amaca di canapa bio per testarne la solidità. Si fa, ci sta.
scusa, non per fare il sapientino, ma… nella TRACHEA?!
vabbè che hai rotto col bio, ma da lì a diventare respiriana ce ne vuole, eh?!
(smiley)